Gli anni novanta, gli 883, il sogno americano.

Sono mezzo malatticcio e nonostante ciò mi è toccato venire all’università perché oggi ho una specie di presentazione da fare. Nella desolazione della stanzina della mia professoressa, unico posto dove mi è possibile studiare esclusa la biblioteca, ho mandato in sottofondo come colonna sonora la musica degli 883 usando youtube, il jukebox degli anni 2000.

La mia attenzione è stata attirata dal finale del video di “una canzone d’amore” in cui il nostro amato Max è seduto sulla panchina e lamenta il suo essere uno sfigato che aspetta da quaranta minuti la bionda a cui ha dato appuntamento. Proprio quando sta per partire ecco che lei arriva, biondissima e con l’aria americana, che in realtà sembra più svedese, ma secondo me nelle intenzioni doveva sembrare americana. In sovra impressione la scritta “… e vissero felici e contenti”. E dopo alcuni secondi di fermo immagine alla scritta si aggiunge un bel punto interrogativo.

Sono convinto di aver già parlato da qualche parte di quanto gli 883 siano per la mia generazione molto più di un gruppo musicale. La sfiga della provincia, i sogni di scappare, il mondo da scoprire. In un modo o nell’altro tutti o perlomeno alcuni di questi temi sono stati condivisi da chi la sua giovinezza l’ha vissuta negli anni ’90. Uno dei temi che spesso viene fuori nelle canzoni degli 883 è proprio l’America. Stare ad elencare tutte le occasioni in cui questa America si presenta sarebbe lungo e noioso. A me ha colpito però come l’America è stata vissuta dagli 883, che poi è forse anche il modo in cui anche noi italiani l’abbiamo vissuta. Per come la vedo io l’America per gli italiani era il mondo, l’altro, il sogno. La libertà di perdersi all’orizzonte sulla route 66 da un lato e le possibilità infinite della metropoli dall’altro. Il mondo dalle mille facce che raccontavano i film, rigorosamente americani, che gli italiani consumavano avidamente e che poi rielaboravano in un’altra America, l’America immaginata da Max Pezzali e Mauro Repetto a Pavia ma anche, seppure in modo un po’ diverso, da Jovanotti a Cortona e da tutti noi nei nostri rispettivi paesini.

L’America era il posto dove andare, dove stanno le cose, dove sta il futuro. Il paese dove tutto è possibile. Così pensava anche Repetto quando, insoddisfatto del suo ruolo da gregario sul palco, da un giorno all’altro partiva per l’America. Ha visto una modella, una gnocca americana, su una rivista e si è innamorato. Il sogno americano però per lui non va in porto. Brandy, così pare si chiamasse la modella, non lo caca. Repetto torna in Italia dopo aver conosciuto l’America vera. Per fortuna Max invece resta in Italia, dove continua a vivere la sua America, quella meravigliosa nella sua testa, nella nostra testa. L’America immaginata dagli italiani, quella fatta di avventura, della tecnologia all’ultimo grido (il Giappone era ancora il sogno di pochi nerd veri, quando nerd e scopare erano antonimi nei dizionari), di storie d’amore da college, di spiagge bianche con bionde pocciute.

Poi gli anni novanta sono finiti, l’America è cambiata. Il mondo è diventato più piccolo e quindi anche l’America è diventata più vicina e come tutte le cose vicine più vere e quindi in un certo senso meno interessanti.

Anni 90 erano anche la bmx, le maglie coi numeri, la one-o-one cola, i poster di Pamela Andersson in cameretta, i maschi col caschetto biondo.

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